Un Nome di Valentina Recchia
“— Chi sei tu?— E questo li ricondusse di nuovo al principio della conversazione. Alice si sentiva un po’ irritata dalle brusche osservazioni del Bruco e se ne stette sulle sue, dicendo con gravità: — Perché non cominci tu a dirmi chi sei? — Perché? — disse il Bruco. Era un’altra domanda imbarazzante.” Alice nel Paese delle meraviglie di L. Carrol
Alice non sapeva rispondere alle domande del Brucaliffo. Era cambiata così tante volte da non sapere più chi fosse. Una bambina, forse, ma non ne era sicura. Sarebbe bastato rispondere con il proprio nome? Forse.
Quanto il nostro nome diviene fondamentale per definire la nostra persona? Cosa vi è celato in questa parola? Cosa significa per sé e per agli altri? Queste domande sono ottimi spunti per iniziare una riflessione su quello che si riesce a trasmettere attraverso il nome.
In linguistica, il nome proprio indica quella parola che viene usata per identificare e distinguere un individuo, una comunità, un luogo, un evento. Si contrappone e differenzia dai nomi comuni da tre aspetti:
- la lettera maiuscola iniziale;
- la caratteristica di non possedere un plurale;
- l’assenza dell’uso dell’articolo.
Da ciò possiamo capire come il nome proprio definisca la nostra unicità ma anche l’appartenenza ad un luogo o ad una comunità di quell’ individuo specifico.
Esso è il primo Dono che riceviamo alla nostra nascita ed è la prima parola che usiamo quando ci presentiamo ad altri. In quel nome si racchiudono le immagini, le aspettative, i vissuti, ma anche i desideri che riguardano la storia dei nostri genitori (o chi per loro) ed, in alcuni casi, anche dei propri avi. Inoltre, attraverso il nome si può risalire, a volte, alle origini territoriali di un individuo. Facciamo un esempio pratico: il nome “George” chiaramente non è un nome italiano e, a noi che ascoltiamo, racconta come la persona in questione possa avere delle influenze di un’altra nazione o che i suoi genitori hanno in qualche modo degli agganci con quella cultura. Non solo.
Osserviamo ora questo nome: “Franco”. Oltre ad essere chiaramente un nome italiano, (seppur di origine germanica) richiama anche l’aggettivo franco, trasmettendo così tutto il significato di cui questo termine si fa carico. L’immagine figurata di quest’individuo sarà quella di una persona franca, schietta, chiara, trasparente oppure diretta, e queste sensazioni si collegheranno anche a tutte le declinazioni che si sono create da questo toponìmico, es. Francesca.
Il grande scrittore e drammaturgo Oscar Wilde, nella sua opera teatrale The Importance of Being Earnest, si fa beffa dell’alta società inglese di fine ‘800, e del suo bisogno di rispettare apparenza e forma, utilizzando proprio questo principio con l’eleganza e la sagacia che lo contraddistinguono. Il gioco di parole del titolo ha dato del filo da torcere ai nostri traduttori in quanto l’aggettivo earnest (onesto) e il nome proprio Ernest (Ernesto) non trovano un valido corrispettivo nel lessico italiano, seppur di questo espediente sia facilmente intuibile il senso anche per chi non conoscesse la lingua inglese. Nella pièce l’autore racconta le avventure di due nobili scapoli che, per conquistare le due donne di cui si sono invaghiti, utilizzano, senza sapere uno dell’altro, lo pseudonimo Ernest. Le due fanciulle hanno come unico desiderio quello di sposare un uomo che si chiami proprio così, in quanto quel nome è garanzia di tranquillità e sicurezza, “procura delle vibrazioni e ha un suono che scalda il cuore a sentirlo”. Ovviamente, per rendere il tutto più divertente, non mancano gli equivoci, gli scambi di identità, fino ad arrivare al colpo di scena finale che permette ai giovani di risolvere la situazione.
Certo, questa è un opera di fantasia, ma quante volte nel nostro quotidiano viviamo delle situazioni dove un nome ci condiziona la percezione che noi abbiamo dell’altro? E quanto questo accade con il nostro di Nome?
Nel percorso autobiografico, individuale o di gruppo, “Narrare di Sè” le attività sono dedicate a questa ricerca, dove tecniche creative ed artistiche si uniscono all’uso della scrittura e della parola, per l’espressione e definizione di sé.
L’atto creativo permette di far emergere immagini e potenzialità che prima non erano visibili all’individuo, creando connessioni, rievocando aneddoti e storie, di desideri e di speranze. La scrittura in questo caso permette di fissare concetti, ricordi e di allenare la mente. Il nome diviene stimolo e strumento per indagare sulle sue origini, sul senso e il significato di cui è portatore.
“In principio era il Verbo” e difatti questa “parola” così importante e segnante della nostra vita (la prima che usiamo nell’incontro con l’altro e il Nome che ci è stato affidato alla nostra nascita) possiamo incontrarla all’interno di percorsi di arteterapia come parte introduttiva ad un percorso autobiografico che miri a ricontattare il nostro Sé più profondo e attività creative che ne stimolino il processo e la scoperta. Diviene così un modo per rivivere un processo di ri-nascita, consapevoli di ciò che ci è stato donato, dei desideri, delle potenzialità ma anche del nostro Destino.